lunedì 23 gennaio 2012

"CONTUS" - Il rumore delle silenziose camere d'hotel

Mi chiamo Sergio.

Un nome anonimo, un nome che non racconta nulla su chi sono, su come sono, su come sono i miei genitori, su quello in cui credevano e sui loro valori. Solo Sergio. Anonimo come il lavoro che faccio: portiere di notte in un hotel anch’esso abbastanza anonimo, senza alti, né bassi. Una struttura che non salta agli occhi, ma che per via dell’orribile colore non passa nemmeno inosservata.

- “Salve scusi, mi darebbe le chiavi?”
- “Certo, signora. E’ la 230, ricordo bene?”
- “Esatto, ricorda benissimo. Buona memoria, Lei.”
- “Ecco a Lei, signora. Abbiamo ricaricato anche il mini-bar. Buona serata”
- “Oh grazie mille, arrivederci”

Una classica conversazione tra persone che si muovono quasi sempre nell’anonimato, che nella maggior parte dei casi non vogliono sapere nulla l’uno dell’altra, perché questo è il rapporto che si deve avere. Né più, né meno. E allora io, essendo l’anonimo Sergio, mi diletto a costruire o a cercare di ricostruire le vite degli altri, delle numerose persone che mi rivolgono la parola quando sto dietro quel bancone, per una qualsiasi richiesta.

Le camere dell’hotel, i loro muri, la mobilia e soprattutto i letti hanno molto, moltissimo da raccontare. Mantengono il segreto, ma non troppo. Io che spesso entro dentro le camere mi diverto ad immaginare i loro racconti, sapendo chi ci ha alloggiato per una settimana, per una notte sola o per poche ore, addirittura.

Qualcuna racconta storie di passione, molte raccontano storie di illusioni e molte altre raccontano storie di dolore.

Come quando si presentano le coppie giovani e di belle speranze, cui magari entrambi i componenti sono belli e cercano riparo per dar sfoggio ai loro occhi dei loro corpi scolpiti e perfetti, che si rotolano in un limbo tra realtà ed incanto, che scivolano nella loro passione dalla scrivania all’armadio, dall’armadio al letto, tra carezze, urla, parole sussurrate e gemiti. Queste sono le storie più positive, quelle che comunque vada, qualcosa di bello rimarrà.

O il ricco cinquantenne che si presenta con la ragazza giovane e che chiede di mandare qualcuno a prendere i bagagli dal SUV e di sistemarli prontamente in camera, magari con tono arrogante per gonfiarsi ancora un po’ della sola cosa di cui si può gonfiare. La ragazza ovviamente comprata in maniera più o meno diretta. La ragazza che s’è fatta abbagliare dall’oro e che s’è fatta acquistare, la ragazza che crede d’essere un’affarista senza accorgersi nemmeno d’essere merce di scambio, come potrebbe essere una casa, una macchina o una bambola gonfiabile. Il ricco cinquantenne invece è triste sotto tutti i punti di vista in questo frangente: perché non si accorge di non essere talmente attraente da potersi permettere una giovane ed avvenente compagna, che in lui vede solo il luccichio degli averi o gli sente addosso il profumo di carta di credito, conti svizzeri e banconote; perché sì, forse se ne accorge ma fa finta di non accorgersene, auto-convincendosi di valere veramente qualcosa; perché in fondo non c’è forse nulla di più triste di chi, persa a suo tempo la giovinezza negli affari, vuole riscoprirsi giovane a 50 anni suonati. La storia di quella camera sarà storia di prostituzione palese o leggermente celata, sarà storia di illusione, di mercificazione voluta da entrambe le parti in egual modo e con lo stesso livello di squallore, più che tristezza vera e propria. La camera mi racconta di lei che ha molti meno orgasmi di quante sigarette ha fumato in balcone, mi racconta dei calcoli economici di lei e di quelli sessuali di lui, racconta dell’illusione di aver trovato un affare importante che svanirà al primo calar del culo o delle tette, o anche molto prima.

Oppure i volti delle classiche fughe extraconiugali. Le più tenere a volte, le più ripugnanti altre.
Le più tenere, quando le persone sposate agiscono come i bambini: provate a dire più e più volte ad un bambino che qualcosa non si fa, vedrete che la farà. Spirito innato d’avventura, noi esseri umani siamo avventurosi per indole, d’istinto amiamo ciò che ci potrebbe far male ed arrecarci dolore. Stessa cosa per il vincolo dato dal contratto matrimoniale. Insieme, finché morte non ci separi. Angosciante solo a sentirsi, figuriamoci da vivere. Ti dice sbraitando divinamente quello che devi e non devi fare. Quindi ecco che a furia di sentire il peso e le urla di quel contratto, molte volte non si riesce a reggerlo e lo si lascia andare via. Una camera d’albergo, al sicuro o quasi da occhi indiscreti, nascosti da piccole grandi scuse del cazzo tipo “Ho da lavorare stasera” o “Mamma sta poco bene, dormo da lei”. Come se un occhio sveglio non s’accorgesse che dietro quelle spiegazioni si nasconde ben altro. Ma l’occhio sveglio, un po’ per speranza, un po’ per stupidità, un po’ per responsabilità nei confronti dei figli si rifiuta di vedere. Le più ripugnanti sono invece quelle dove si finge l’amore, si finge d’essere la coppia perfetta, con un buon lavoro da entrambe le parti, innamorati pazzi da sempre che tutto hanno dalla vita ma che quella vita vanno a perderla infilandosi nei corpi di qualche altra persona. In una camera d’albergo che poi mi racconta tutto, certo. E si finge perché non si vuol far vedere nulla all’esterno, agli occhi della società. Si preferisce farsi vivere la vita da altre persone, dimenticando che è una ed una sola.

Le camere d’albergo hanno tantissimo da raccontare e spesso mi raccontano tutto.

Ma io sono Sergio, il personaggio anonimo che fa l’anonimo lavoro del portiere di notte in un hotel abbastanza anonimo. E non so nulla.

"Che chiave Le serve?"


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