mercoledì 22 febbraio 2012

Sardigna no est Italia, ma no est nimmancu scetti folklore

Si è concluso il tour de force del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano in Sardegna.

Una visita che porta con sé tanti aspetti da considerare.

Il primo aspetto da considerare è l’accoglienza che ha avuto da parte di amministrazioni ed amministratori, siano questi regionali o comunali. Il Presidente della Regione, il Ragionier Cappellazzi Ugo, quello che circa due settimane fa parlava di Natzione sarda e di Popolo sardo si inchina all’ingresso del Presidente con gran solennità, dal basso della sua pochezza d’intervento e di governo e col leccaculismo tipico di chi è e vuol essere in condizione di subalternità assoluta. Chiede aiuti, sorride, fa regali doppi insieme al Presidente del Consiglio Regionale Claudia Lombardo e chiede ancora carità. E la chiede questa volta ad un uomo che rappresenta un’istituzione che ha ben pochi poteri decisionali. Poco importa se si stesse rivolgendo al Presidente di uno Stato che ci è debitore per circa 10 miliardi. Poco importa se la crisi in cui versa la Sardegna sia causata anche dalla mancanza prolungata di quei denari che mancano nel nostro tessuto sociale, infrastrutturale e politico. China la testa da servo e tende la mano per confidare nella bontà istituzionale.

Massimo Zedda, votato alle Comunali di Casteddu anche da indipendentisti, condanna pesantemente l’indipendentismo sia questo di ProgReS, o di iRS etc. Poco importa se i Sikitikis che tramite il frontman Diablo sono direttamente collegati a ProgReS e quindi all’indipendentismo, si siano schierati pubblicamente e abbiano messo la faccia anche artistica per la sua elezione. La condanna è totale, senza nessuna distinzione per quei fischi e insulti al Presidente Napolitano. Preciso che a me è piaciuto il modo in cui è stato eletto, voluto assolutamente dai cagliaritani. Preciso che mi piace il suo modo nuovo di rapportarsi alla realtà di Cagliari e il suo modo di governarla. Ma da indipendentista mi sento offeso da quella generalizzazione.

Il Presidente Napolitano incontra anche i genitori di Rossella Urru, cittadina di Samugheo che è nelle mani di rapitori algerini dalla notte tra il 22-23 ottobre 2011. Poco importa se Rossella sia diventata il simbolo di un silenzio che cade sulle situazioni sarde, siano queste di ordine sociale, politico o addirittura umanitario, come in questo caso. Per questo non mi sembra un eccesso di nazionalismo o sardismo andare in parte contro la nostra conterranea Geppi Cucciari e dire che Rossella è prima di tutto sarda e poi, se vogliamo, anche italiana. E’ sarda perché fa parte di quei pezzi di Sardegna dimenticati da uno Stato che ogni volta fa di tutto per dimostrarci che non ci vuole stare a sentire.

Sorvoliamo poi sul convegno organizzato da qualche associazione non-culturale “Il contributo della Sardegna all’Unità d’Italia”, con la sfilata del solito patriottismo made in Italy cui si aggiungono poi le bandierine tricolore donate ai bambini inconsapevoli affinché sin da subito siano battezzati all’italianità della Sardegna.
C’è stato anche l’incontro con i sindacati e i rappresentanti delle aziende in crisi tra cui Alcoa, Eurallumina, Vinyls, Legler, Rockwool, ex Ila e Keller di cui non ho sentito nulla. Posso però intuire la solita richiesta, Rockwool a parte, di riaprire fabbriche che fanno parte di un piano di industrializzazione della Sardegna che era già vecchio e dannoso quando è nato negli anni ’60, figuriamoci adesso. Spero che Rockwool qualche esempio lo possa dare, anche se questo va contro sindacati e classe politica, che perderebbero così parte delle tessere o dei voti sicuri.


Un bel po’ di aspetti da considerare anche nella visita di Sassari, dove il Presidente della Repubblica italiana viene invitato a celebrare i 450 anni dell’ateneo tattarese. E dove viene omaggiato con l’onorificenza più alta della città: il Candeliere d’Oro speciale. Per capirci, nel 2005 fu omaggiato nientepopodimeno che  Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica italiana. Quello che tra le altre cose si vantava di non aver mai fatto nulla per la Sardegna, per capirci.


Anche in quest’occasione, altro patriottismo italiano: discorso di Manlio Brigaglia su “L’Università di Sassari nella Storia dell’Italia unita”. Chissà se avrà raccontato di quando i maestri pestavano le mani e non solo ai bambini che si azzardavano ad affermare con “eja!”.


Per tornare però al discorso degli indipendentisti, apro una considerazione a parte. Quanto ha dichiarato Massimo Zedda mi offende ma mi fa anche riflettere su come l’indipendentismo sardo sia visto all’esterno. Ed è visto come entità unica anche se non di certo indivisibile come la Repubblica italiana, come hanno raccontato in decenni di indipendentismo le scissioni e i frazionamenti in piccoli satelliti.  Mi offende ma mi fa anche affermare che non faccio parte di quell’indipendentismo che con i fischi e le urla tende a vanificare quanto fatto di buono in precedenza. L’esperienza del Comitato Sì Nonucle, abbandonata dai vari leader indipendentisti forse perché veramente troppo positiva e coinvolgente, dovrebbe insegnarci che la maggior parte delle volte senza aggressività, con inclusività e coinvolgimento delle persone, con la sensibilizzazione su varie tematiche e con l’azione politica capillare si può fare molto, molto bene. Ed infatti il referendum consultivo fu una vittoria del Popolo sardo che diede l’esempio a tutto il mondo.


Ecco, fu un esempio di blocco indipendentista funzionante proprio per la sua comunicazione costruttiva, aggressiva nel modo giusto e che non si perdeva certo alle prime obiezioni, come troppo spesso succede.

Perché non riprenderla?


Perché non abbandonare il troppo folklore di certe pessime rappresentazioni teatrali come i fischi e gli insulti da stadio per intraprendere qualcosa di più coinvolgente e costruttivo, che tra l’altro ha già avuto successo nella sua formula?


Certo, non dico e non predico Unidades, è da un bel po’ che ho capito che non funzionano. Ma troviamo una formula buona (una mia idea l’espressi qui: http://inlibertade.blogspot.com/2012/01/una-nuova-e-definitiva-fase.html). Abbandoniamo certi aspetti che non fanno altro che allontanare a priori gli “ignoranti”, quelli che ignorano di cosa sia fatto l’indipendentismo sardo e che  andrebbero informati (e formati) meglio.

Perché l’indipendentismo sardo non è unico ed indivisibile e c’è chi davvero si impegna concretamente per la costruzione della Repubblica di Sardegna.


De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna


Restiamo Sardi


domenica 19 febbraio 2012

Sardegna24, Bellu e il concetto di libertà d'infotmazione

Di recente è venuto a mancare all'affetto delle edicole sarde il quotidiano Sardegna24.

Quello che nasceva come quotidiano nuovo, quello che da tutti (gli interessati e, detto a sa sadra, gli interessosi) veniva proclamato come una ventata d’aria fresca pronto a mettersi in mezzo e a contrastare il duopolio L’Unione Sarda – La Nuova Sardegna, il giornale che doveva essere puro, duro e crudo e che doveva essere d’inchiesta. Bene:  uscito il primo di luglio del 2011,  l’ultimo numero ha calcato le edicole il 29 gennaio 2012, dopo varie vicissitudini.


Le stesse documentate dal Direttore del fu Sardegna24 Giovanni Maria Bellu in occasione della presentazione di “Asibiri”, che non s’è capito ancora cosa sia ora e cosa sarà in futuro. Forse un covo di scrittori di sinistra, di quegli intellettuali che scrivono più per autoreferenzialità che per informare? O forse, finalmente, un quotidiano (o un periodico) di giornalisti che fanno i giornalisti? Non si sa, ma io continuo a sperare.


Bene, Bellu in occasione dell’incontro spiega nei dettagli la breve storia e il declino di Sardegna24, spiegando i vari passaggi dalla nascita all’incidente, dalla rianimazione al coma per finire con la sopraggiunta morte. E finalmente conferma anche quello che tutti sapevano ma che nessuno diceva: Sardegna24 è stata un’idea di Renato Soru, ex Presidente della Regione Sardegna e attuale Consigliere Regionale del Partito Democratico. Sardegna24 era un progetto editoriale che doveva prevedere, oltre il cartaceo, un sito internet, una radio e poi in futuro una televisione. Doveva diventare, a mio modo di vedere, uno scudo, un’arma di difesa ma anche un’arma di contrattacco alla pseudo-informazione fatta più volte dalle componenti del duopolio citato inizialmente.


Si è parlato molto di informazione, dei vari modi di informare, un po’ di metodo, qualche frase ad effetto di Concita De Gregorio (che fu condirettrice insieme allo stesso Bellu dell’Unità, di proprietà di Renato Soru) e ancora gli interventi di vari giornalisti e di altre persone che scrivevano su Sardegna24.

Una cosa mi ha fatto riflettere sul concetto di informazione libera: che viene scambiato con un altro concetto, quello della pluralità d’informazione.


Il  deceduto berlusconismo ha avuto come risultato, tra le altre cose, di confondere questi due concetti. Mi spiego meglio: Berlusconi ha due giornali, uno di proprietà diretta ed uno del fratello, più almeno un altro paio che in questi anni ne hanno tessuto le lodi, decantato la magnificenza di ogni suo piccolo movimento, attaccato i nemici politici. E tutto questo nemmeno troppo velatamente. Quindi ha fatto sì che il concetto di libertà d’informazione fosse attaccare Berlusconi e il clan dei berluscones e tutto quello che ruotava attorno a lui, attorno agli alleati politici, attorno alla sua famiglia ed anche attorno alle sue parti intime.


Questa si può chiamare informazione libera? Io credo proprio di no.


Questa è battaglia tra clan, tra famiglie diverse. Questi sono due colpi di fucile a pallettoni in risposta alle fucilate del vicino d’ovile. Questa è merda lanciata addosso in risposta ad altra merda che t’è piovuta addosso.


Scriveva Bellu nell’editoriale di presentazione del giornale: “Li ho visti, in queste settimane, mentre formavo la redazione di Sardegna24: decine e decine di curricula stellari, studi di eccellenza nelle migliori università del mondo, ed esperienze lavorative misere segnate da retribuzioni modeste e precarie. Il nostro futuro umiliato a favore degli amici degli amici, dei raccomandati, dei furbi. Rilevi che un tempo, quando sei partito, per lo meno agivano di nascosto, si vergognavano. Oggi, invece, quasi rivendicano come un valore la loro cialtroneria e la loro amoralità.
Sembra dire che Sardegna24 stia nascendo per contrastare qualcosa, per fare un dispetto all’avversario politico dell’editore e non semplicemente per dare notizie, ma per dare notizie che smentiscano, perculino o danneggino in qualche modo il vile impostore.
E poi ancora, sempre dal primo editoriale di Bellu: “Non esiste il giornalismo obiettivo. Esiste il giornalismo onesto. E' la più importante tra le cose che ho imparato da Eugenio Scalfari quando, più di vent'anni fa, andai a lavorare a Repubblica. Non esiste il giornalismo asettico, esiste il giornalismo che offre un punto di vista sul mondo, come abbiamo tentato di fare in questi ultimi anni con Concita De Gregorio a l'Unità. Esiste solo il giornalismo che riferisce la verità sostanziale dei fatti, senza travisamenti e senza censure. 


Come sarebbe a dire che non esiste il giornalismo obiettivo? Non solo il giornalismo obiettivo deve esistere, ma trovo di fondamentale importanza l’esistenza del giornalismo obiettivo. Giornalismo obiettivo è uguale ad informazione libera. Né più, né meno.


O sono solo io che, pur non essendo giornalista, prima di scrivere qualcosa vado a fare ricerche di dati, di fatti, di conti economici, di articoli di legge etc., per dare a chi mi legge dei punti di riferimento OBIETTIVI e non parziali?


Devo forse pensare che l’informazione libera sia nascondere le magagne di uno e mettere in risalto, sbattendole in prima pagina, le magagne e le malefatte dell’altro?
No Direttore Bellu, mi permetta: questa non solo non è informazione libera ed obiettiva, questa è informazione PARZIALE. E’ pluralità di informazione, certo, ma non informazione libera. L’informazione libera è un’altra cosa. L’informazione libera è quella che non ha padroni in politica, né in altri campi. L’informazione libera, come dice lo stesso Bellu, è semplicemente l’informazione che informa. A 360°.


L'informazione oggi ha davvero bisogno di essere libera, apartitica, democratica e deve riportare così notizie anche scomode.

Io scrivo spesso delle varie situazioni sarde nel mio blog, riporto punti di vista diversi, molto impopolari a volte, cerco umilmente di dare spunti di riflessione. Non sono tra quei blogger sardi che non fanno altro che rappresentare una Sardegna che si piange addosso, vittima e Madre dolorante, figlia di uno Stato che non la vuole. No, io no.

Io sono tra quei blogger che sogna una Sardegna diversa, sovrana, responsabile, artefice del proprio successo con la complicità di tutti i sardi, nessuno escluso. Sono tra quei blogger che dice "Basta" alle passeggiate recriminatorie fino ai palazzi romani o per le vie di Cagliari. Che dice "Basta" alla facile demagogia strappa-lacrime o al becero populismo di stampo leghista.

Ci tengo a dare un'immagine diversa della Sardegna e dei sardi.

Tengo a precisare che non faccio parte di nessun partito o movimento e col mio blog non guadagno nulla. Non ho quindi nessun tornaconto economico o politico e quindi nessun particolare interesse, se non quelli che ho scritto prima.

Sono indipendentista, eppure se ci s’addentra un attimo nel mio blog si trova facilmente qualcosa che va contro l’attuale area indipendentista.


Io posso definirmi libero e senza padroni. Come dovrebbero potersi definire liberi  e senza padroni tutti quelli che si occupano di informare.
Indro Montanelli, quando Berlusconi passò alla guida de “Il Giornale” gli disse chiaro e tondo questa frase: “Tu sei il proprietario, io sono il padrone almeno fino a che rimango direttore.”. 


E ancora: “ Io veramente la vocazione del servitore non ce l'ho”. E quando Berlusconi scese in campo, cercò di imporre a “Il Giornale” ed allo stesso Montanelli la sua linea politica. Montanelli, in tutta risposta, lasciò la direzione.

Ecco, quello della libertà dal padrone dovrebbe essere un dogma per chiunque voglia fare il giornalista o che si accinga ad assumere la direzione di un giornale.


Perché, come diceva lo stesso Montanelli, “l’unico padrone del mio giornale, oltre me, è il lettore.”



De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna

Restiamo sardi (e informati)


martedì 14 febbraio 2012

Storica sentenza "Eternit". Applicazione anche in Sardegna?

La sentenza “Eternit”  si può definire sentenza storica.

La condanna a 16 anni di carcere dei due manager  Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier De Marchienne, ex vertici dell’azienda, per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche  potrebbe infatti segnare un crocevia nell’annosa questione del binomio industrializzazione scriteriata-problemi di salute.

Dopo circa trent’anni di lotte, si arriva alla conclusione che sia stato l’amianto a provocare migliaia di morti, anche tra la popolazione non legata alla stessa produzione.  C’è però il WWF che nel suo comunicato di soddisfazione avverte anche che il picco di morti da amianto ci sarà tra il 2015-2020.


Una vittoria per i familiari che non solo hanno denunciato il fatto, ma che non si sono mai tirati indietro e non hanno fatto cadere tutto nel silenzio, tenendo alta l’attenzione sulla questione. Una vittoria che comunque non potrà riportare indietro i loro cari defunti e non potrà evitare il pericolo dell’avviso lanciato dal WWF.


Sentenza storica che potrebbe trovare applicazione anche per la Sardegna? Spero proprio di sì.


Non bisogna infatti lasciar cadere il silenzio sulle analisi condotte dai veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei, che dicono chiaramente che “il 65% dei pastori che lavora a Quirra si è ammalato di leucemia, ed esiste una correlazione tra questi tumori e gli agnelli nati deformi negli ovili del territorio. “ E non bisogna far passare nemmeno troppo tempo perché, paradossalmente, mentre ai pastori della zona è ancora vietato far pascolare il proprio bestiame nelle aree sequestrate, le esercitazioni e le altre attività del poligono hanno ripreso indisturbate a sfamare lo Stato italiano con i soldi dell’affitto a compagnie estere.

Non bisogna lasciar cadere il silenzio sull’analisi di Greenpeace che colloca la Sardegna in cima alla lista delle Regioni d’Italia più inquinate, con ben 445 mila ettari contaminati. Siti industriali dismessi, miniere dismesse, mari inquinati.


Occorre sensibilizzare la popolazione prima delle istituzioni sull’impellente bisogno di istituire un “registro tumori”, una sorta di istituto di monitorizzazione capillare del sorgere di patologie particolari, come tumori al sistema emo-linfatico tipiche delle zone di guerra, come possono essere leucemie, linfoma Hodgkin e Non Hodgkin.

E chiunque oggi può guardare su Youtube il primo episodio di “Oil” di Massimiliano Mazzotta (http://www.youtube.com/watch?v=X1CR1__FjmI&feature=related), documentario sulla SARAS che fu inizialmente bandito con una battaglia giudiziaria dei Moratti nei confronti dello stesso regista, che comunque ne uscì illeso ed innocente. In questo documentario potrete trovare spunti di riflessione interessanti per quantificare il reale livello di inquinamento di una delle raffinerie più grandi d’Europa.

Porto Torres, Portovesme, Ottana, Machiareddu, Sarroch, Teulada, Quirra, Capo Frasca, Decimomannu: sono esempi di industria pesante, privata e di Stato,  e servitù militari dislocate in Sardegna per il totale del 60% delle servitù militari italiane.

Non facciamo cadere il silenzio sulle questioni ambientali, magari facendoci distrarre dalle beghe finanziarie di Italia ed Europa.

Pretendiamo come popolo che le aziende come ALCOA che vanno via e che lasciano dietro di sé depressione territoriale e personale eseguano le bonifiche e le riconversioni dei siti. Le lotte degli operai Rockwool insegnano, in questo senso, che lottare per il proprio lavoro ed intelligentemente per il proprio ambiente serve a qualcosa, anzi, è di vitale importanza per la collettività (http://www.youtube.com/watch?v=_S1BuOM4k1w&feature=share).

Teniamo sempre bene a mente che un popolo che vive in un ambiente malsano è un popolo destinato a scomparire prima biologicamente e poi fisicamente.


De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna

Restiamo sardi


sabato 11 febbraio 2012

"La Sardegna deve tornare a sorridere". Tranquillo Ugo, lo stai facendo bene!

“La Sardegna deve tornare a sorridere”, diceva lo slogan della campagna elettorale di un candidato alla guida della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci. Per chi non lo sapesse, Ugo Cappellacci è attualmente il Presidente della Regione Sardegna. Di che partito non si sa, perché ha restituito la tessera del PDL. Attualmente quindi abbiamo un Presidente della Regione senza partito.

“La Sardegna deve tornare a sorridere”: mai miglior slogan si prestò all’interpretazione. Perché dietro questo slogan campeggiava il simbolo del PDL con sotto la scritta “BERLUSCONI PRESIDENTE”. Quindi vedendoli sul palco tutti e due, Ugo e Silvio, quale migliore slogan poteva esserci, se non “La Sardegna deve tornare a sorridere”?

Ed in effetti ci hanno fatto sorridere. Ci ha fatto sorridere la telefonata del frottolaio magico all’amico Putin durante la campagna elettorale, telefonata che doveva risolvere la vicenda del polo industriale di Portovesme. In quel momento sapeva già che ALCOA in Sardegna era agonizzante e che presto sarebbe morta, senza telefonate di sorta che potessero risolvere qualcosa.

 Abbiamo sorriso in tanti e  tanti hanno spalancato la bocca increduli. Molti invece, spinti dalla disperazione, hanno baciato la mano e hanno continuato a credere alle frottole ad effetto del nano di Arcore, che posizionando il figlioccio alla guida della RAS avrebbe risolto tutto. Magari questo nuovo Napoleone non avrebbe risolto tutto, ma almeno Bonaparte.

Ci ha fatto sorridere il Cappellazzi Ragionier Ugo quando si sentì tradito dal “Governo amico” per il furto della Tirrenia perpetrato dal suo stesso padrino, quello di cui in campagna elettorale portava il nome sul simbolo e sulla bocca, quello di cui è stato commercialista e che avrà aiutato a fare dei giochetti di bilancio, anche se non possiamo esserne sicuri, ha strappato la tessera del suo partito: il coro unanime dei vertici pidiellini fu “Esticazzi?”. Ancora a credere che ci siano governi centrali amici o nemici, questi qui. “Governo amico”, come era amico il Governo Prodi che avrebbe dovuto renderci i soldi della “vertenza entrate” (barattati senza autorizzazione e senza diritto dal fu Governatore Renatino Soru).

 Ci fa sorridere quando parla di “riforma dell’articolo 9 dello Statuto”, quando se c’è una cosa del nostro Statuto che non deve essere toccata, poiché è uno dei pilastri portanti della nostra sovranità economica, è proprio l’art. 9. Pensi a farlo rispettare così com’è, piuttosto.

L’ultimo “sorriso” è di questi giorni: ''iniziamo non soltanto a pensare come popolo ma ad essere popolo. Iniziamo non soltanto a pensare da nazione ma ad essere nazione. Iniziamo non soltanto a parlare di unità ma ad essere uniti''. Frase ad effetto da vero sardical-chic. Il Presidente Governatore in the station for the nation really sensation che parla di “Nazione Sarda”, di “Popolo Sardo”. Bene, bravo, bis urlerebbero certi indipendentisti che, non avendo le competenze adatte per far politica, dominati dall’insicurezza del proprio essere, si appigliano al Soru o Cappellacci di turno affinché accolga le proprie istanze.

Io no.

Io dico ancora, come sostenni in un altro mio post, che questa classe politica si accorge solo ora che la Sardegna è in fiamme del bisogno di sovranità che ha questa terra, del bisogno che ha questa terra dei 10 miliardi o giù di lì della “vertenza entrate”, del bisogno che ha di una classe politica seria ed autorevole, del bisogno che ha questa terra di uscire fuori dallo schema clientelare del bipolarismo all’italiana. E questo dovrebbero sostenerlo sia gli indipendentisti che quelli che di indipendenza non vorrebbero nemmeno sentir parlare. Non parliamo di indipendenza allora, parliamo di termini meno forti: sovranità, autodeterminazione, responsabilità.

Anche quelli che indipendentisti non sono devono rendersi conto, magari anche egoisticamente, che abitano in Sardegna prima di tutto. Che questa terra ha bisogno della propria sovranità per far sì che episodi come la “vertenza entrate” non si ripetano. Perché se noi continuassimo a far incassare i nostri tributi all’Agenzia delle Entrate italiana, nella situazione in cui vaga adesso lo Stato italiano, continuerebbero  a non riconoscerceli  e quindi a non ridistribuirceli come da Articolo 8 dello Statuto. Perché se viene meno questo diritto  viene meno il diritto all’autodeterminazione. E questo riguarda anche i non indipendentisti, quelli che chiedono alla Sardegna di essere maggiormente artefice del proprio destino, di “gravare” meno sul loro Stato (come fossimo noi a “gravare” sullo Stato e non il contrario). Di prendersi le proprie responsabilità. Ben vengano le responsabilità, ben venga l’autoderminazione  e sia fatta la nostra sovranità.

Per tornare al Governatore che non governa,  Cappellacci credo abbia paura di Maninchedda e del Partito Sardo d’Azione, che in questi tre anni di Governo non ha mai fatto mancare i propri malumori, che adesso si sollevano sempre più (senza però staccargli la spina, mah!). E poco importa se recita la sua tragedia pseudo-indipendentista  proprio al ritorno dal vertice col Governo italiano in cui “ha aperto tavoli di trattativa con lo Stato”, se lo fa di ritorno dall’ennesimo trasporto a Roma dell’ennesima croce sarda. E’ solo un altro paradosso del Presidente Cappellacci.

Ma lo fa per rimanere in linea con la sua campagna elettorale e tornare a farci sorridere.

Mestamente, di gusto.


De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna

Restiamo sardi


mercoledì 8 febbraio 2012

Siamo tutti soci di ALCOA, pretendiamo lavoro pulito e terra limpia

Tanto per cominciare specifico sin da subito ancora una volta che io sto con gli operai che lottano per il loro posto di lavoro. E questo sempre. Perché da disoccupato quale sono capisco in parte la situazione, anche se non ho famiglia e figli. Per il semplice fatto che ad oggi io e molti miei coetanei una famiglia e dei figli non li possiamo nemmeno immaginare. Meno responsabilità, è vero, ma anche meno sogni ad occhi aperti. La disoccupazione, come la cassintegrazione o la mobilità toglie la possibilità di pianificare un futuro e fa vivere quindi male il presente. Spero sia chiaro sin dalle prime righe che quello che scrivo non è contro chi soffre, ma serve per dare un minimo contributo alla comprensione della vicenda contorta di ALCOA e, di conseguenza, del polo industriale di Portovesme.

Partiamo da un po’ di storia.

All’inizio degli anni ‘90 la multinazionale ALCOA preleva, dopo una ristrutturazione e la privatizzazione, gli  stabilimenti dell’Alumix, produttore italiano statale di alluminio. Gli stabilimenti si trovano uno a Portovesme  e uno a Fusina (Veneto). In questa operazione i punti fondamentali sono il D.M del 19 dicembre 1995, con cui si determinavano le agevolazioni energetiche alla multinazionale  e la seguente “decisione Alumix” del 4 Dicembre 1996, cioè la decisione con cui si permetteva all’Enel (allora ancora Ente pubblico) di applicare l’agevolazione senza che questo fosse considerato “aiuto di Stato”.  Punto fondamentale poiché l’acquisto degli impianti da parte di ALCOA era subordinato al fatto d’avere tariffe molto più basse, visto l’elevato consumo d’energia per il funzionamento di quegli impianti. Queste agevolazioni furono accordate sino al 2005, dopodiché il trattamento riservato ad ALCOA sarebbe stato uguale a quello degli altri utenti.
Dal 2000 però cambia qualcosa: lo Stato decide di inserire la cosiddetta ” tariffa Alumix”  tra gli oneri generali del sistema elettrico, facendo mutare così il metodo di finanziamento dello sconto. ALCOA infatti pagava sì nominalmente il prezzo normale, ma le veniva effettuato lo sconto diretto in bolletta. Questo sconto, e qui arriva il bello, veniva pagato da tutti noi in bolletta, tramite un onere che rientrava nella componente A4 (costi per il finanziamento dei regimi tariffari speciali). Dal 2004 è cambiato il sistema, nel senso che ALCOA pagava il totale dell’energia e veniva poi rimborsata dalla Cassa Conguaglio, a cui Enel versava quanto incassava dalla componente A4, ma sostanzialmente la multinazionale pagava quanto previsto dagli accordi precedenti, sempre a spese nostre. Con un decreto del 2004 poi si prorogano gli sconti per altri due anni rispetto al primo accordo, quindi fino al 2007. E così via, sino all’ultima proroga che io chiamo “accordo Lexotan” poiché è un accordo che ha solo rimandato il problema senza risolverlo, e che avrebbe dovuto permettere ad ALCOA di lavorare fino a tutto il 2012. E invece ALCOA va via 6 mesi prima, e questo lo sapevano tutti. E se non lo sapevano il tutto è ancora più grave, forse.

Perché è del  2009 l’accordo con la società mineraria saudita Ma’aden per sviluppare i nuovi impianti nella nuova zona industriale di Raz Az Zawr in Arabia Saudita con un investimento di più di 10 miliardi di dollari. La zona permette minori costi di energia pulita, migliori infrastrutture e minori costi di estrazione-trasporto, visto che la bauxite sarà estratta al nord del Paese e trasportata al luogo di lavorazione tramite ferrovia.

Quindi i casi sono due: o la classe politica sapeva ed ha taciuto o la classe politica non sapeva e basta.
In qualsiasi caso si rivelerebbero incapaci: nel primo caso per aver taciuto e non essersi presi l’onere di elaborare un progetto alternativo; nel secondo caso perché con quello che costano devono essere per forza informati su queste vicende e prendere tutti i provvedimenti del caso.


E ALCOA? Non sono la persona più adatta per fare i conti, ma si vocifera che nella sua permanenza qui, con le agevolazioni energetiche, abbia risparmiato circa 2 miliardi di Euro, quindi più di 1/5 del totale investimento che sosterrà in Arabia Saudita.  E quei soldi sono stati pagati da noi tutti. Senza considerare che c’è chi dice che il padre, per agevolare la propria assunzione, abbia lasciato all’azienda l’intera liquidazione, una volta andato in pensione.  Diciamo che qualcosa ALCOA ce la deve, visto che si può dire che possediamo più del 20% di quote del nuovo impianto arabo!


 A parte il sarcasmo, ALCOA decanta la sua sostenibilità in tutto il mondo. Ma questa sostenibilità non è data dal fatto che non inquina, bensì dal fatto che inquina, ma che pulisce quando va via dai siti. L’ha fatto anche da altre parti. Si legge in un articolo di Lilli Pruna che “Alcoa ha provveduto a bonificare diversi siti in cui erano insediati i suoi impianti. I piani di bonifica sono stati definiti in collaborazione con lo Stato Federale e le municipalità locali, come nel caso dello “sforzo cooperativo di successo”, celebrato pubblicamente nel 2007 da Alcoa, per ripulire e ripristinare il Comfort Point/Lavaca Bay, a metà strada tra Houston e Corpus Christi, in Texas. Questo sito presentava una contaminazione da mercurio rilasciato dallo stabilimento di produzione Point Alcoa Inc.'s Comfort alla fine degli anni ‘60, che ha causato gravi danni ambientali e la chiusura della pesca in una porzione della baia. Alcoa ha speso circa 110 milioni di dollari per una serie di progetti nella baia e intorno ad essa, durati 15 anni, per ripulire e ripristinare le condizioni ambientali. L’impegno del Gruppo Alcoa ad attuare i piani di ripristino è incorporato – si legge nei suoi documenti – in un accordo siglato nel 2005 che riguarda l’assunzione di responsabilità rispetto ai danni arrecati alle risorse naturali di quel sito. In ragione di tale accordo, Alcoa ha pagato anche le spese sostenute da una serie di istituzioni pubbliche (Environmental Protection Agency, National Oceanic and Atmospheric Administration, Texas Commission on Environmental Quality, Texas General Land Office, Texas Parks and Wildlife Department, US Fish & Wildlife Service) per la valutazione dei danni e la definizione delle azioni di recupero ambientale”.

La classe politica e sindacale sarda e italiana e la classe operaia dovrebbero quindi oggi lottare per pretendere bonifica e riqualificazione del territorio. I tempi di progettazione della bonifica dovrebbero coincidere con la formazione degli operai, che non rimarrebbero così a terra, in cassintegrazione o in mobilità ma sarebbero impegnati e stipendiati regolarmente. Sarebbe per loro un arricchimento professionale importante utilizzabile anche in altri contesti, oltre che pratico.  Ed un giorno, davanti alla terra pulita ed al mare limpido, potranno guardare in faccia i loro figli ed i loro nipoti e dir loro che per riportare la situazione così come la vedono hanno contribuito anche loro, col cuore da operai e con la predisposizione al sacrificio che li sta contraddistinguendo.


Lottiamo per i nostri diritti, lottiamo per la nostra salute, non diamo retta ai politici affamati di voti o ai sindacalisti affamati di tessere. Lottiamo per il lavoro pulito in una Sardegna pulita, che un altro “Piano di rinascita” sarebbe solo l’inizio di una nuova morte.


De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna


Restiamo sardi


venerdì 3 febbraio 2012

L’irrefrenabile caduta del Berlusconismo. Mauro Pili VS. Michela Murgia

V’era un tempo in cui Berlusconi e i suoi scagnozzi potevano permettersi di dire qualsiasi stronzata, fosse questa da megalomani o fosse questa paradossale, che faceva un po’ di rumore della durata di due giorni due e poi tutto si spegneva, cadendo per i più nel dimenticatoio. Per gli altri invece andava a riempire quel sacco di indignazione che era già pieno sin dal discorso “arretti unificate” della discesa in campo o tutt’al più dal “Contratto con gli italiani” dal suddito Vespa. Complici, oltre la disarmante creduloneria dell’italiano e del sardo medio, le armi di distrazione di massa: la tv trash firmata Mediaset ed Endemol, la stampa di proprietà diretta o indiretta del ducetto ex Premier o le telefonate a Putin di fronte agli operai di Portovesme. E allora vai con: ponti sullo stretto, ricostruzioni aquilane lampo, giudici comunisti, stampa comunista, arbitri comunisti, veline troie e comuniste, nipoti di dittatori anch’elle comuniste che, mascalzoncelle, si infilavano nel letto a sua insaputa, non dichiarando nemmeno l’età. E  complice ovviamente l’inesistente o non meglio identificata opposizione che non s’oppone.

Oggi no, oggi non è più così. Oggi qualsiasi cazzata di un qualsiasi figlioccio di Berlusconi non passa inosservata e va dato risalto (forse anche eccessivo) a tutto.  Cioè, la sinistra, o per meglio dire la pseudo-tale sta ancora zitta, mentre a parlare sono i giornalisti, che diciamo che nel corso degli anni hanno acquisito una credibilità maggiore dei politici, soprattutto di quelli di sinistra, complici del berlusconismo. Oppure ci sono degli scrittori che fanno anche i giornalisti e che si occupano di politica.

E’ di questi giorni il botta e risposta del deputato (?) Mauro “copia-incolla” Pili e l’autrice di “Accabadora” Michela Murgia.

Il fatto è questo: la Murgia ha osato definire Pili “statista al pecorino”, perché quest’ultimo se n’è uscito fuori con una stronzata (altro termine non userei) che per incominciare ad uscire dalla crisi serva il finanziamento alla ricerca su Marte, che definisce “un impegno importante per nuove frontiere di crescita e sviluppo". No, cosa ridete? E’ tutto vero. Sì, l’ha detto veramente. Quel Mauro Pili sulcitano è un politico a 360°, mica pizza e fichi. Ama spaziare dall’antico alla tecnologia. Sostiene infatti con forza la costruzione del Gasdotto Galsi e la metanizzazione dell’isola e continua a sostenere le politiche industriali fallimentari del “Piano di rinascita” degli anni ’60. Per chi non lo sapesse, il Galsi è un serpentone metallico che dovrebbe sventrare tutta la Sardegna da Porto Botte ad Olbia, toccando tutte le province sarde ad eccezione dell’Ogliastra. 272 km e tubi di 48 pollici per quanto riguarda il tratto a terra. Peccato che il Pili ometta, nei suoi discorsi, di dire che le riserve di metano sono stimate in 30 anni ancora e che dopo 30 anni tutto fa pensare che la condotta venga dismessa senza nessuna rimozione e conseguente bonifica ambientale. Peccato che Pili, per quanto riguarda l’industria sulcitana, ometta di dire che ALCOA è morta 2 anni fa, con un accordo della stessa multinazionale (di cui parlerò in seguito in un altro articolo) che già aveva deciso di andarsene. Cosa ha fatto lui per la sua Provincia in questi due anni? Ha cercato soluzioni concrete alla vertenza? Ha lottato affinché ALCOA, se proprio doveva andar via, formasse quegli stessi operai per la bonifica e la riqualificazione del territorio, evitando loro la perdita dello stipendio? O ha solo sparato facili frasi demagogiche? Beh, in questo caso difende a spada tratta l’industria pesante, antica già dalla nascita. Un politico a 360° quindi, che spazia dall’antico al tecnologicissimo.

Non alla sinistra, non all’opposizione né al PD ha dato fastidio questa sparata di Pili, ma Michela Murgia che su queste cose ci sguazza alla grande, essendo pungente quanto basta, ha scagliato una piccola pietrolina nel lago di insicurezza e di poca credibilità in cui annaspa il Pili ed ha scatenato uno tsunami.
L’ha definita “provincialissima pseudo scrittrice” e “censore senza titolo e senza arte”, dimenticando che le opere di Michela Murgia si possono trovare anche in Mozambico, probabilmente (ma forse lui i libri li tiene al contrario!). Siccome ancora sentiva di non annaspare troppo in quel lago, la definisce “saccente letterata soriana” . Beh, la prova inconfutabile della sorianità di Michela Murgia è che scriveva per Sardegna24 e che molto spesso tira fuori delle tematiche solo sarde, che quasi supera nella lotta il suo maestro Soru: bene, peccato che Michela si dichiari indipendentista e scriva cose indipendentiste, che proprio da Soru non derivano. O devo pensare che Pili non abbia mai letto nulla di Franciscu Sedda o di Bachisio Bandinu, ad esempio?

Quello  che fa scompisciare però è quando arriva a definirla “intrepida fumettista venuta dal Polo Nord”, scambiandola per il Fauno Banana di Intanto in  Viale Trento (http://www.facebook.com/intantoinvialetrento) che pubblica le sue vignette anche su Sardegna Quotidiano e che intervistai anche io un po’ di tempo fa (http://inlibertade.blogspot.com/2011/06/la-satira-di-intanto-in-viale-trento.html).

Se io fossi amico dell’On. Pili, mi verrebbe da dargli teneramente un po’ di pacche sulla spalla e dirgli “Oh Mauretto, anche questa volta hai detto una stronzata. E lo sai che tuo padrino non c’è più al Governo e che ogni stronzata non passa inosservata. Poi sesi ammigu della stampa isolana che ti pubblica tutto con i titoloni, figurarì se non se ne accorgono, i comunisti puresci!”

Tengo a precisare che sì, la ricerca va finanziata assolutamente perché in ogni campo della ricerca le scoperte possono poi trovare applicazione in altri ambiti. Ma prima di tutto non dovrebbero essere sponsorizzate dalla politica ma dagli stessi scienziati, che dovrebbero occuparsi in prima persona di portare alla luce quelle che sono le loro ricerche e gli obiettivi e cercare di attirare l’attenzione delle istituzioni competenti. In secondo luogo, se proprio devono essere promosse dalla politica, che siano promosse da gente autorevole, seria e competente. Direte voi: “Eh, mica facile”, e vi do assolutamente ragione. Ma che sia promossa da un figlioccio del frottolaio magico di Arcore che la ricerca l'ha ammazzata come poteva no, questo no.

E’ finito il tempo di dire qualsiasi castroneria e passare quasi inosservati, ci stiamo disabituando a queste cose.

 Berlusconi è morto, il berlusconismo sta morendo…ed anche Pili non si sente mica tanto bene.