lunedì 30 gennaio 2012

L’insostenibile insicurezza dell'essere sardi

Al termine di una settimana caldissima per quanto riguarda la Sardegna, vorrei condividere quelle che sono le mie impressioni sui fatti accaduti.

La rivolta degli autotrasportatori, dei pastori sardi, del popolo delle partite IVA, degli operai del Sulcis, tante sono le cose da considerare di questa settimana che ho passato a cercare di capire qualcosa, quali fossero non le ragioni, poiché quelle sono agli occhi di tutti, ma le richieste e le proposte di questa fetta del popolo sardo. Premetto che dirò molte cose che saranno impopolari, soprattutto in un momento di grande fervore come questo. Ma questo non significa certo che non mi faccia soffrire vedere dei giovani disoccupati, dei padri di famiglia cassintegrati prossimi al licenziamento, degli artigiani e commercianti vessati dalla pressione fiscale o da Equitalia e dei pastori sardi piangere amaramente per una situazione aggravata dalla quasi totale assenza della politica.

Eppure per quello che è il mio punto di vista mi trovo costretto a denunciare l’ennesimo caso di italo-centrismo e di insicurezza dell’essere sardi.

Parlo soprattutto di quanto visto e sentito nella trasmissione riparatoria di Oliviero Beha dopo l’uscita di Paolo Villaggio, dopo l’ultima puntata di “Servizio Pubblico” di Michele Santoro e della conseguente intervista alla trasmissione "In 1/2 h" di Lucia Annunziata di Antonello Pirotto (nella foto), operaio dell’Eurallumina di Portovesme divenuto popolare per il suo “non mi devi rompere i coglioni” al Senatore Castelli.

Partendo dal “Blocco della Sardegna”, considero subito l’avventatezza dell’azione come dannosa nei confronti di tutti. Non abbiamo mai brillato per coesione popolare e quindi per azioni concertate, questa era una grossa occasione e abbiamo toppato alla grande, mettendo in atto un teatrino dove ognuno interpretava un po’ come voleva la manifestazione, dando un senso di disperazione senza nessun moto costruttivo. Si è sbagliato non nel modo, perché ero e resto favorevole ad un’azione forte, ma negli intenti e nella maniera in cui tutto è stato un po’ campato per aria, nonostante la “Consulta dei Movimenti”*. Da considerare che la suddetta consulta non si è formata prima del Blocco, ma durante. Figuriamoci il grado di azione concertata e tesa anche a dare l’impressione di unione del Popolo sardo, come invece sarebbe dovuto essere.


(* mi dicono che la "Consulta dei Movimenti esiste dal 23 settembre 2011, ma io mai l'avevo sentita nominare, chiedo scusa per l'inesattezza)

Cosa chiedevano queste persone? Confesso che ci ho messo un po’ a capirlo e forse non l’ho nemmeno capito del tutto. Ma questo potrebbe essere un problema mio. Da quello che ho capito, si chiedeva la diminuzione del costo del gasolio, il foglio di via per Equitalia e la proclamazione dello stato di crisi.
Quindi ancora favori dallo Stato italiano. Ancora l’insostenibile insicurezza dell’essere sardi. Centu concas e centu berrittas. Pocos, locos y malunidos, ancora una volta. Questa volta nell’intento di unirsi, però.  Ancora una volta, l’ennesima, col grido di “andiamo tutti a farci sentire a Roma”. Forse i Pastori Sardi hanno dimenticato di essere stati rapiti a Roma e di esser stati presi a manganellate, di aver subito una vera e propria repressione da Stato fascista. O non l’avranno capito?

La fretta non è mai stata buona consigliera e tanto meno lo è stata in questa occasione. Nella fretta di emulare il Popolo siciliano, non s’è organizzato nulla o s’è organizzato il tutto partendo da Facebook, che non è male. Ma poi bisogna vedersi, elaborare, creare un documento condiviso e poi agire, se si vuole agire.
Invece no: tenendo presente il male fatto dai Forconi siciliani, qua l’unica cosa che è andata meglio è stato evitare le gomme bucate delle macchine, il non bloccare veramente ma far rallentare il traffico ed ottenere la solidarietà di chi ancora non si trova con il fuoco ai piedi.

Tornando alle richieste, mi chiedo: perché chiedere ancora favori allo Stato italiano quando la soluzione di buona parte di questi problemi è nel nostro Statuto, quindi nostro diritto, quindi ancora LEGGE?

Perché, visto che le soluzioni ci sono ci ostiniamo a voler “andare a Roma a farci sentire”?

Nel nostro Statuto ci sono gli art. 8 e 9 che ci permettono di istituire una Agenzia delle Entrate della Regione Sardegna e di riscuotere i nostri tributi, per poi dare allo Stato quello che ci spetta. Se lo Stato italiano ci deve 10 miliardi di Euro è anche per colpa della nostra politica e, indirettamente, colpa del nostro italo-centrismo che non ci ha mai portato a voler far rispettare gli articoli del nostro Statuto. Cari operai di Portovesme, badate bene che con quei 10 miliardi si può curare meglio la rete infrastrutturale talmente tanto da far scendere parecchio i costi di produzione, quegli stessi costi di produzione che portano le multinazionali e le altre aziende ad andare a produrre da un’altra parte perché qui costa molto di più. Tutto costa molto di più, a partire dall’energia e dai trasporti. Nello specifico, caro Antonello Pirotto operaio Eurallumina, non puoi sostenere tra le altre cose che occorrerebbe metanizzare l’isola come se fosse parte importante della panacea dei mali dell'isola. Ricorda che le risorse di metano sono stimate in 30 anni. Togline almeno 5-7 per la realizzazione del Galsi, ne restano 23-25. Soluzione immediata (?), ma che nel medio-lungo termine rimarrebbe solo un’altra grande incompiuta voluta dalla politica lobbistica affaristica sarda. Non me ne vogliano gli operai, ma voi siete le vittime principali e più dirette del “Piano di Rinascita” degli anni ’60, di cui il fallimento è sotto gli occhi di tutti. Imprese e multinazionali che sono venute qui, hanno usufruito di finanziamenti pubblici e che ora lasciano solo morte, distruzione ed inquinamento. E l’inquinamento peggiore che si possa desiderare è quello da polveriera sociale, l’inquinamento peggiore sono la disoccupazione e/o la cassintegrazione, che come conseguenza hanno  la depressione e la rabbia.
Dovreste chiedere alla nostra classe politica di agire con forza contro questi poteri, dovreste chiedere d’essere formati per  le bonifiche dei posti che hanno distrutto materialmente ed a livello sociale, dovreste chiedere il rispetto della dignità e del lavoro, per arricchirvi anche professionalmente, in attesa che quelle terre vengano reinventate lavorativamente parlando. Questo a mio parere dovreste chiedere, non di perseverare su errori già commessi 50 anni fa. Voi che chiedete lo sconto sul gasolio perché abbiamo la raffineria tra le più grandi d’Europa, perché non vi sentite autorizzati a chiedere lo sconto sulle confezioni del latte, dei succhi di frutta confezionati col Tetrapak o sugli infissi in alluminio che realizzano qui, inquinando? Domande!

Ed artigiani e commercianti contro Equitalia? Contro Equitalia ce ne sarebbero molte da dire. Ma ho da dire a chi sostiene che l’art. 51 non sarebbe risolutorio contro Equitalia, interpretandolo come richiesta di favori allo Stato italiano: cari signori, l’applicazione dell’art. 51 è nostro diritto, non un favore che chiediamo all’Italia. E’ legge  che sta tutta nel nostro Statuto, non interpretatela in quella maniera lì. Interpretarla in quella maniera lì deriva dall’insostenibile insicurezza dell’essere sardi, che ci porta a non voler nemmeno lontanamente sembrare sottomessi da parte dello Stato. E’ invece un rapporto alla pari: io non ti chiedo l’applicazione degli articoli, io te lo impongo perché è mio diritto imporlo.

Oppure chiedere l’applicazione dell’art. 12, che ci consente di creare delle zone franche all’interno del nostro territorio. Almeno per un periodo, non di certo vita natural durante. Anche qui non si deve interpretare come un favore, ma come un diritto scritto, una legge.

Ecco, prima dei “Blocco della Sardegna” avrei voluto che le persone che volevano prendere posizione (non di certo però per farsi sentire dallo Stato italiano) avessero organizzato dei tavoli a cui sedersi per parlare di queste questioni e condirle con altre soluzioni.

Usciamo fuori dall’idea di Sardegna Madre morente e disperata, usciamo fuori dall’idea del sardo colonizzato e tartassato perché tenete presente che il colonizzatore colonizza anche perché è il potenziale colonizzato è ben disposto ed arrendevole, o semplicemente troppo pigro. E qui siamo sempre stati, per una serie di motivi, troppo disposti a delegare a terzi il nostro futuro. Forse è ora che decidiamo noi del nostro futuro, partendo da questo presente e consapevoli del nostro passato.  
Come un figlio che prende finalmente coraggio e responsabilità per andar via di casa, per godersi la propria libertà e voler percorrere la propria strada, con i pro e i contro, ma sempre decidendo da solo il da farsi e gestendo al meglio le proprie capacità e risorse. 

Usciamo fuori dall’italo-centrismo, non ci servono favori quando abbiamo i diritti e le leggi da far rispettare.

Il pensiero che ci porta a chiedere favori o a pensare che stiamo chiedendo favori deriva dall’insostenibile insicurezza dell’essere sardi.

Il pensiero ricorrente che ci porta ad “andare a farci sentire a Roma” deriva dall’insostenibile insicurezza dell’essere sardi.

Gratzias po s’attenzioni

De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna

Restiamo sardi



sabato 28 gennaio 2012

D'ora in poi, "Restiamo sardi".




D'ora in poi firmerò i post sul blog che parlano di Sardegna ed indipendenza con "Restiamo sardi". 

Un parafrasare Vik, Vittorio  Arrigoni (http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Arrigoni), che firmava le sue denunce dalla Striscia di Gaza con "Restiamo umani". 

Firmerò così tanto per ricordare Vik in qualche modo, per rendergli onore della sua lotta PACIFICA sul campo, al fianco dei palestinesi che volevano sentirsi liberi nella loro terra e non affiancati ad Hamas, come qualcuno ha voluto far credere prima e dopo la sua morte. Vik portava pace, avrebbe voluto contribuire ancora a portare la pace in Medio-Oriente. Vik aberrava la guerra come modo per affermare le ragioni. Vik si schierava al fianco di chi riteneva più debole, al fianco di chi riteneva vittima di ingiustizie. Sempre in maniera pacifica, con la sua pipa, la sua kefiah, la sua penna e il suo megafono. Onore a questo guerriero senza armi che uccidono.


Oltre questo, firmerò con "Restiamo sardi" perché questa nostra terra ha bisogno prima di tutto di noi, della nostra sardità, della nostra identità e della nostra forza concentrata qui, in Sardegna, e non a combattere da qualche altra parte del mondo sotto una bandiera che non è la nostra. 

Firmerò così per dare il mio piccolo contributo a riportare la Sardegna in Sardegna. 

Firmerò così perché alle manifestazioni di lotta (non-violenta) voglio veder sventolare i 4 mori e gli alberi deradicati, perché queste sono le bandiere in cui dobbiamo identificarci prima di tutto. 

Firmerò così perché questa Sardegna ha bisogno di essere meno italo-centrica, meno insicura, meno razzista. Il popolo sardo, sia la parte di popolo che reclama indipendenza, sia quella parte di popolo che si sente anche italiano, deve smettere di reclamare favori verso lo Stato italiano, ma creare al proprio interno una struttura tale da garantire una convivenza perlomeno dignitosa di ognuno del milione e seicentomila sardi. Dobbiamo trovare dentro di noi, nelle nostre risorse personali, ambientali, artigianali, turistiche etc. la forza di andare avanti. Tutti. Come Natzione e come Popolo, non solo come parte di un altro popolo. Per Vik e per questi motivi:  

De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna  

Restiamo sardi



giovedì 26 gennaio 2012

"CONTUS" - Il mio funerale

Capitava spesso che mentre leggevo un libro il pensiero mi portasse fuori dalle sue righe, spostando l’attenzione a quelle che erano le mie emozioni e le mie sensazioni, quelle che in quel momento mi bruciavano dentro e fuori.  Perché magari leggendo certi passi la mente vagava, pensava, e le righe successive a quelle che m’avevano colpito non avevano importanza, il mio pensiero era ormai altrove e magari anche senza senso come il fumo di quelle sigarette, che si disperdeva così indisturbato  portandosi con sé un altro po’ di vita, ma di questo non me ne fregava un benché bel cazzo. E allora mi trovavo a riportare i miei pensieri su carta, proprio come ora, lanciato dal brivido delle emozioni e dall’entusiasmo di fare qualcosa che qualcuno al di sotto di me non riusciva a fare. Ma anche questo non mi rendeva né sereno, né contento  e quindi tantomeno mi appagava. Però comunque ridevo  un pochettino sotto i baffi.


In quel momento Pirandello narrava di quel che doveva essere il suo suicidio, nella persona del fu Mattia Pascal,  culminato nel riconoscimento del suo cadavere in una di quelle che erano proprietà di famiglia in una vita agiata e senza troppi pensieri, ma che poi avevano perso per colpa di un’amministrazione sbagliata degli averi. E quella che era la costernazione e l’angoscia di moglie e suocera, tanto ipocrita, tanto cruda e cinica, poiché tanto era insensato lui per loro che troppo presto ne riconobbero il cadavere che invece non era il suo. E questo mi fece sorridere. Il mio pensiero andò invece a quello che spesso mi capitava di immaginare:  il mio funerale.  Come sarebbe stato?

Sono sempre stato dell’idea che la gente non ti riconosce i meriti fino a quando non vieni a mancare. E lì, vuoi per l’ipocrisia, vuoi per il riconoscere che poi tanto male non eri e anche se tanto male fossi stato comunque non meritavi d’andartene, tutti si accorgevano in un lampo che tu valevi, eccome se valevi.
Immaginavo tutte quelle che avevo scopato anche solo per una notte e senza pagarle oltretutto, come si deve a quelle che credon d’essere le donne migliori con la figa  di platino contornata di Swarowsky e che invece si concedevano a me lercio, sporco, porco, maniaco e che in cambio altro non poteva dare che cazzo, mani, bocca, lingua e altro di difficile comprensione. Il mistero dell’eros donato. Chissà se loro avrebbero pianto, nel rimpianto di aver perso l’occasione di scoprire che dietro al cazzo c’era qualcosa di molto più grande e coinvolgente; chissà se la loro costernazione sarebbe stata degna della suocera e della vedova del Pascal o se invece avrebbero pianto sul serio per ciò che sarei potuto essere. 

E gli amici? Oh, di quello son sicuro. Loro m’avrebbero pianto davvero. Gli Amici, s’intende, non i conoscenti. I conoscenti sapevano ben poco di me, se non l’aspetto che balzava più all’occhio, quello del cazzone che fa le battute divertenti sul sesso, maschilista, avido, cinico, spietato donnaiolo che senza il sesso non  sapeva vivere. Ma gli Amici…chi m’aveva conosciuto e che di me aveva assaporato quanto di meglio si potesse chiedere ad un amico. Le lacrime loro sarebbero state sincere come un sole d’estate che scalda i giorni bui, come il pianto di un bambino e il suo successivo stupore e la sua gioia per un giocattolo nuovo. Si sarebbero ricordati però anche loro delle serate passate con me, quelle altamente alcoliche, dove ridevamo in falsa allegria, accompagnati in ogni passo e in ogni locale dal più perfetto Dioniso. E poi si sarebbero ricordati di me che li aiutavo a riflettere, che facevo uscire da loro i malanni interiori e li aiutavo a curarli, nel mio piccolo. E mi ringraziavano ancora una volta, che non era neanche l’ultima sicuramente. Confermandomi ancora una volta la stima che forse in quei momenti a loro sembrava di non avermi mai riconosciuto, ma che invece io avevo carpito dal loro sorriso grato. Sempre.

E i miei? Come si sarebbero comportati? Mio padre avrebbe pianto sicuramente, senza far vedere la sua disperazione, lui che m’aveva sempre disprezzato nel suo amore di padre, per come ero, per come pensavo, per come vestivo e per quel che facevo, che non era niente o quasi di quello che avrebbe voluto. Mia madre invece si sarebbe proprio disperata, in quella che era la sua forza. Molto probabilmente avrebbe anche ritardato l’ingresso della bara nel loculo avvinghiandosi su di essa per non lasciarla partire per l’ultimo definitivo viaggio. Mia sorella, che mai m’aveva conosciuto e a cui oggi leggo negli occhi una grande curiosità nei confronti dei miei pensieri avrebbe trovato lì il rimorso più grande: quello di non essere mai stata in sintonia con me, di non aver mai capito quello che veramente pensavo e sentivo, il perché del mio comportamento bizzarro e sicuramente fuori dalle righe, il mio atteggiamento restìo nei suoi confronti. Magari anche pentendosi del fatto di non aver mai vissuto una delle mie serate al massimo, insieme a me, tra droga, alcol, fumo e puttane.

Ed io? Io sarei stato lì, presente a quella rappresentazione teatrale di un dramma. Il dramma più grande sarebbe stata sicuramente l’ipocrisia, ma io avrei sicuramente riso di tutto ciò. Mi sarei avvicinato uno ad uno alle persone presenti, a quelle cui non avevo magari neanche mai  rivolto uno straccio di un misero saluto e che invece erano lì, magari anche tra le lacrime. Tutt’ad un tratto diventavo una grande persona e tutto andava a coprire quelle che erano state le mie malefatte nei loro confronti, i miei silenzi, i miei rumori ed i miei casini. Magari qualcuno che m’aveva beccato in casa sua mentre mi scopavo inogniqualmodo la sorellina allegra e si era alquanto alterato, in quel momento ipocritamente desiderava d’avermi avuto come cognato. E che cognato divertente sarei stato, grande persona sarei stato, io! Da che mondo è mondo, nessuno si accorge di quanto siamo grandi e della potenza che abbiamo dentro fino a quando non veniamo a mancare. La morte unisce ciò che la vita ha sempre separato, siamo più grandi da morti che da vivi. Ma che cazzo di mondo è questo? Che cazzo serve tenere gli occhi chiusi per il pregiudizio? L’importante però, il fatto che mi faceva star tranquillo a questo pensiero era che presuntuosamente pensavo di sapere tutto di quel giorno e sorridevo di tutto ciò. Chi è cieco, se non viene curato, rimarrà cieco per sempre. Per conto mio, non smetterò mai di dire a chi se lo merita quanto è grande.

E un’altra cosa: mi tocco violentemente i coglioni perché, IN CULO AL MONDO, SONO ANCORA VIVO E AMO LA VITA E ME STESSO SOPRA OGNI ALTRA COSA.
QUINDI FANCULO.

CIAO.


lunedì 23 gennaio 2012

"CONTUS" - Il rumore delle silenziose camere d'hotel

Mi chiamo Sergio.

Un nome anonimo, un nome che non racconta nulla su chi sono, su come sono, su come sono i miei genitori, su quello in cui credevano e sui loro valori. Solo Sergio. Anonimo come il lavoro che faccio: portiere di notte in un hotel anch’esso abbastanza anonimo, senza alti, né bassi. Una struttura che non salta agli occhi, ma che per via dell’orribile colore non passa nemmeno inosservata.

- “Salve scusi, mi darebbe le chiavi?”
- “Certo, signora. E’ la 230, ricordo bene?”
- “Esatto, ricorda benissimo. Buona memoria, Lei.”
- “Ecco a Lei, signora. Abbiamo ricaricato anche il mini-bar. Buona serata”
- “Oh grazie mille, arrivederci”

Una classica conversazione tra persone che si muovono quasi sempre nell’anonimato, che nella maggior parte dei casi non vogliono sapere nulla l’uno dell’altra, perché questo è il rapporto che si deve avere. Né più, né meno. E allora io, essendo l’anonimo Sergio, mi diletto a costruire o a cercare di ricostruire le vite degli altri, delle numerose persone che mi rivolgono la parola quando sto dietro quel bancone, per una qualsiasi richiesta.

Le camere dell’hotel, i loro muri, la mobilia e soprattutto i letti hanno molto, moltissimo da raccontare. Mantengono il segreto, ma non troppo. Io che spesso entro dentro le camere mi diverto ad immaginare i loro racconti, sapendo chi ci ha alloggiato per una settimana, per una notte sola o per poche ore, addirittura.

Qualcuna racconta storie di passione, molte raccontano storie di illusioni e molte altre raccontano storie di dolore.

Come quando si presentano le coppie giovani e di belle speranze, cui magari entrambi i componenti sono belli e cercano riparo per dar sfoggio ai loro occhi dei loro corpi scolpiti e perfetti, che si rotolano in un limbo tra realtà ed incanto, che scivolano nella loro passione dalla scrivania all’armadio, dall’armadio al letto, tra carezze, urla, parole sussurrate e gemiti. Queste sono le storie più positive, quelle che comunque vada, qualcosa di bello rimarrà.

O il ricco cinquantenne che si presenta con la ragazza giovane e che chiede di mandare qualcuno a prendere i bagagli dal SUV e di sistemarli prontamente in camera, magari con tono arrogante per gonfiarsi ancora un po’ della sola cosa di cui si può gonfiare. La ragazza ovviamente comprata in maniera più o meno diretta. La ragazza che s’è fatta abbagliare dall’oro e che s’è fatta acquistare, la ragazza che crede d’essere un’affarista senza accorgersi nemmeno d’essere merce di scambio, come potrebbe essere una casa, una macchina o una bambola gonfiabile. Il ricco cinquantenne invece è triste sotto tutti i punti di vista in questo frangente: perché non si accorge di non essere talmente attraente da potersi permettere una giovane ed avvenente compagna, che in lui vede solo il luccichio degli averi o gli sente addosso il profumo di carta di credito, conti svizzeri e banconote; perché sì, forse se ne accorge ma fa finta di non accorgersene, auto-convincendosi di valere veramente qualcosa; perché in fondo non c’è forse nulla di più triste di chi, persa a suo tempo la giovinezza negli affari, vuole riscoprirsi giovane a 50 anni suonati. La storia di quella camera sarà storia di prostituzione palese o leggermente celata, sarà storia di illusione, di mercificazione voluta da entrambe le parti in egual modo e con lo stesso livello di squallore, più che tristezza vera e propria. La camera mi racconta di lei che ha molti meno orgasmi di quante sigarette ha fumato in balcone, mi racconta dei calcoli economici di lei e di quelli sessuali di lui, racconta dell’illusione di aver trovato un affare importante che svanirà al primo calar del culo o delle tette, o anche molto prima.

Oppure i volti delle classiche fughe extraconiugali. Le più tenere a volte, le più ripugnanti altre.
Le più tenere, quando le persone sposate agiscono come i bambini: provate a dire più e più volte ad un bambino che qualcosa non si fa, vedrete che la farà. Spirito innato d’avventura, noi esseri umani siamo avventurosi per indole, d’istinto amiamo ciò che ci potrebbe far male ed arrecarci dolore. Stessa cosa per il vincolo dato dal contratto matrimoniale. Insieme, finché morte non ci separi. Angosciante solo a sentirsi, figuriamoci da vivere. Ti dice sbraitando divinamente quello che devi e non devi fare. Quindi ecco che a furia di sentire il peso e le urla di quel contratto, molte volte non si riesce a reggerlo e lo si lascia andare via. Una camera d’albergo, al sicuro o quasi da occhi indiscreti, nascosti da piccole grandi scuse del cazzo tipo “Ho da lavorare stasera” o “Mamma sta poco bene, dormo da lei”. Come se un occhio sveglio non s’accorgesse che dietro quelle spiegazioni si nasconde ben altro. Ma l’occhio sveglio, un po’ per speranza, un po’ per stupidità, un po’ per responsabilità nei confronti dei figli si rifiuta di vedere. Le più ripugnanti sono invece quelle dove si finge l’amore, si finge d’essere la coppia perfetta, con un buon lavoro da entrambe le parti, innamorati pazzi da sempre che tutto hanno dalla vita ma che quella vita vanno a perderla infilandosi nei corpi di qualche altra persona. In una camera d’albergo che poi mi racconta tutto, certo. E si finge perché non si vuol far vedere nulla all’esterno, agli occhi della società. Si preferisce farsi vivere la vita da altre persone, dimenticando che è una ed una sola.

Le camere d’albergo hanno tantissimo da raccontare e spesso mi raccontano tutto.

Ma io sono Sergio, il personaggio anonimo che fa l’anonimo lavoro del portiere di notte in un hotel abbastanza anonimo. E non so nulla.

"Che chiave Le serve?"


venerdì 20 gennaio 2012

Quanto produce la Sardegna? E quanto costa?

Qualche giorno fa avevo intenzione di scrivere sull’iniziativa solitaria del Movimento PAR.I.S. Malu Entu, che inizia a raccogliere le firme per il Referendum sull’indipendenza, ma sono bastati pochissimi giorni per abbandonare la reazione “di pancia” e tornare a quella “di testa” e quindi capire che non val la pena di dare spazio ad iniziative del genere,  poiché è preferibile parlare di cose serie e costruttive.

Stamane ero presente al seminario del Comitato “Fiocco Verde” (http://fioccoverde.net/), che da poco tempo ha iniziato una raccolta firme per una proposta di legge che, se approvata, sarebbe il primo passo per il raggiungimento di una sovranità fiscale della Sardegna. Presenti, oltre a Franciscu Sedda, Presidente del comitato e che ha introdotto la discussione , anche il Presidente della Commissione Autonomia e Consigliere Regionale del Psd’Az Paolo Maninchedda, l’ex Presidente della Regione e Consigliere Regionale del PD Renato Soru e il Deputato del PDL Bruno Murgia.

Il seminario si proponeva di spiegare le ragioni del Comitato “Fiocco Verde” e di sentire dalle varie parti i pro e i contro di questa proposta di legge, che punta a risolvere la famosa (o famigerata) vertenza entrate e all’applicazione dell’art. 9 del nostro Statuto Autonomo, che ci autorizzerebbe di fatto a costituire un’Agenzia delle Entrate della Regione Sardegna, ed al conseguente rispetto dell’art.8, che indica tutte le quote tributarie spettanti alla Regione stessa. In breve: attualmente i nostri tributi sono riscossi dall’Agenzia delle Entrate che poi secondo quello che dice il già citato art. 8 dovrebbero essere in gran parte restituiti, ma che di fatto non ci vengono restituiti o per cui non vengono rispettate le quote, per una cosa o per l’altra. Un percorso inverso praticamente che ha portato al verificarsi della vertenza entrate. Soldi nostri  che si sarebbero dovuti utilizzare qui ma che invece sono utilizzati per chissà cosa. L’applicazione dell’art. 9 eviterebbe questo iter, dandoci modo di riscuotere per conto nostro i tributi e versare poi le spettanze allo Stato italiano.

La domanda che è venuta fuori durante il dibattito è la seguente: se pure venisse istituita l’Agenzia delle Entrate della Regione e la Regione fosse in seguito portata ad autogestirsi ed auto-sostenersi,  questi soldi basterebbero? La Regione Sardegna produce più o meno di quanto consuma?

Paolo Maninchedda nel corso del suo discorso ha dichiarato che in questo senso non esiste un vero e proprio studio storico, un censimento della produzione della Sardegna e di quelli che sono e che sono stati i costi, ma si è detto ottimista.

Renato Soru inizia il discorso precisando di non essere indipendentista e di sentirsi italiano e sardo(ma questo lo sapevamo). Continua poi dando per certo che la Sardegna produce molto meno di quello che consuma, in termini di costi. La sua soluzione sarebbe o che la Sardegna producesse di più o, in alternativa ovvia, che si rivedessero i costi di gestione della cosa pubblica.

Non me ne vogliano i Pidiellini, ma Murgia non l'ho sentito perché c'era un amico che m'aspettava fuori.

Bene, io non so di certo chi abbia ragione o che carte abbia il Renatino per dichiarare ciò, ma è sembrato estremamente convinto di ciò che diceva. Ma m’è sembrato convinto pure Maninchedda!

Per quanto mi riguarda, non ho capito se il  Comitato “Fiocco Verde” già lo propone nella legge, ma credo che sarebbe opportuna un’organizzazione che si occupi di sviluppare in maniera capillare una rete atta ad esaminare e censire produzione e costi, in modo da fare un bilancio storico se non precisissimo, perlomeno molto attendibile e applicare tagli dei costi superflui (tipo lavori pubblici o consulenze esterne affidate ad amici o compari) e attingere da dove si vuole per le misure dello sviluppo turistico ed infrastrutturale della nostra isola, in modo tale da colmare finalmente il gap con le altre Regioni d’Italia. Allora sì che si creerebbero le basi per una reale autonomia come trampolino di lancio per l’indipendenza, non con un referendum consultivo, iniziativa senza capo, né coda.

Grazie dell’attenzione e a s’intendi luegus!


lunedì 16 gennaio 2012

Finalmente i sardi uniti nell'indignazione! Ma indignazione per cosa?

I sardi sono capaci di indignarsi. I sardi sono capaci di unirsi nell’indignazione. Ora sì che ne abbiamo le prove. Ebbene sì, finalmente i sardi uniti ed indignati. E’  un luogo comune che il sardo curi solo il proprio orticello, che se non viene colpito direttamente, chi non di lompidi su fogu a is peisi (se il fuoco non gli arriva ai piedi) il sardo non si muove. 

Eh no, cose che dicono tutti, ma solo chi è contro i sardi sempre.


E allora eccoli qua i sardi uniti, indignati per la vertenza entrate, contro lo Stato italiano che ci è debitore per 10 miliardi di Euro, soldi delle nostre tasse che secondo l’art. 8 del nostro Statuto Autonomo (http://www.itasruiu.it/files/statuto_regione_sardegna.pdf) avremmo dovuto incassare, che non abbiamo incassato e che ora ci dovrebbero essere restituiti, ma che per una scusa o per un’altra non ci vengono dati indietro. Un furto di Stato ad una Natzione senza Stato. I sardi indignati ed uniti perché sanno benissimo che con quei soldi potremmo finanziare infrastrutture, servizi, trasporti (sia marittimi che aerei, solo sardi).


Come dite? Ah, non è per questo che i sardi sono uniti ed indignati?


Ah no, scusate, errore mio. Non è per questo fatto, la maggior parte dei sardi nemmeno ne è a conoscenza.


I sardi sono indignati ed uniti perché vogliono costituire una propria Agenzia delle Entrate, per riscuotere direttamente i propri tributi, acquisire grosse parti di sovranità economica e poi versare lo spettante allo Stato italiano, sempre secondo l’art. 8 del nostro Statuto Autonomo. Ed è l’art. 9 dello stesso Statuto che glielo permetterebbe, mica si stanno inventando nulla! “La Regione può affidare agli organi dello Stato l'accertamento e la riscossione dei propri tributi.” Quindi “la Regione può”, non che “la Regione DEVE” affidare agli organi dello Stato l'accertamento e la riscossione dei propri tributi. Ecco perché i sardi sono finalmente uniti ed indignati, ed aggiungo anche che ci sono tutte le ragioni, visto che così avrebbero il controllo dei loro tributi e potrebbero investirli per sanare questa Natzione allo sbando!


Scusa? Non è nemmeno per questo?


Allora sarà per la questione della mancata introduzione nelle scuole della lingua sarda, della geografia economica e turistica della Sardegna, cosa che aiuterebbe a formare gli alunni ad una più vasta conoscenza del proprio territorio e magari a pensare di creare qualcosa qui, anziché andare “in continente?” Non è neanche questo?


Ma allora sarà per via di quel serpentone metallico proveniente dall’Algeria che attraverserà tutta l’isola, di cui non ci sono ancora chiari i benefici? Il Gasdotto GALSI, sì. E’ per questo che i sardi sono finalmente uniti ed indignati?


Ma come, nemmeno per questo? 

Per cosa? Per Paolo chi? Paolo Villaggio? Ma il Fantozzi Ragionier Ugo? E che ha detto? Ah ok, che i sardi trombano con le pecore e questo non favorisce la natalità nell’isola. Ed è per questo che si indignano e si uniscono? Sono queste le bazzecole che uniscono i sardi oggi? Cazzo, ma allora riempiamo il Consiglio Regionale e il Parlamento Italiano di Fantozzi Ragionieri Ughi, vuoi vedere che qualcosa si muove?


Ma comunque, veramente sono indignati per questo? Il Fantozzi Ragionier Ugo, conosciuto come Paolo Villaggio per chi non l’avesse capito è un uomo che ha costruito la propria carriera sull’autoironia. La sua autobiografia, ad esempio, sapete come si intitola? “Vita, morte e miracoli di un povero stronzo”. Non basta? Allora vi dico come si intitola il suo monologo autobiografico che recita a teatro: “Delirio di un povero vecchio”! Capito ora? Il Villaggio scherzava, non voleva offendere veramente i sardi. Non lo farebbe, anche solo per il rispetto dell'amore per i sardi e la Sardegna del suo compianto amico d’infanzia, Fabrizio De Andrè.


Ora risulta tutto. Ora capisco perché ho letto cose tipo “Spero che a Genova, quella città di merda, arrivi un’altra alluvione a portarvi via”, “Boicottiamo lo spettacolo di Paolo Villaggio”, “Paolo Villaggio conch’e cazzu” o cose simpatiche del genere. L’avessi avuto di fronte, avrei risposto a quell’uscita come il panettiere interpretato da Diego Abatantuono in uno dei film di Fantozzi: “Fantossoooooo? PRRRRRRRRRRRRR!” Sono sicuro che ci saremmo fatti una grassa risata e un bel po’ di bicchieri di buon Cannonau assieme!


E ai politicanti sardi unionisti sottomessi ai padroni di Roma non diciamo nulla? Ho ragione io, riempiamo il Consiglio Regionale e il Parlamento Italiano di Fantozzi Ragionieri Ughi.


Male che vada, ci saranno i comici a farci ridere e non i politici a farci piangere.


martedì 3 gennaio 2012

Una nuova e definitiva fase dell'indipendentismo moderno? Forse ci vorrebbe.

Una nuova fase dell’indipendentismo moderno,  ecco cosa ci vuole.  E’ un mio proposito per questo anno 2012, che si preannuncia ricco di rivoluzioni in ogni ambito.
Non parlerò di Unidades Indipendentistas che ormai abbiamo capito che, non essendoci mai state, non ci saranno mai. Ogni identità indipendentista ha le proprie caratteristiche, le proprie priorità, una propria identità, appunto. Ci sono altri modi per stare uniti per un obiettivo comune, pur proseguendo su binari separati, ma obbligatoriamente paralleli, sempre che si voglia veramente perseguire l’obiettivo dell’autodeterminazione graduale e che non si aspiri ad avere quella poca visibilità che attualmente l’indipendentismo offre.
Ingredienti principali di questa mia nuova ricetta sono:


1)      Umiltà;

2)      Totale assenza di sete di potere o di visibilità;

3)      Senso del dovere;

4)      Informazione e competenza sugli argomenti trattati;

5)      Maturità politica;

6)      Comunicazione efficace, sia interna ma soprattutto esterna;

7)      Volontà di creare una “rete” indipendentista attiva su tutto il territorio Natzionale.

Questi ingredienti devono per forza portare alla nuova fase di cui parlo, soprattutto nell’ultimo punto.
E come ogni ricetta che si rispetti, tutti gli ingredienti devono amalgamarsi tra loro in diverse fasi della preparazione, proprio per arrivare a forgiare un elemento/alimento nuovo, unico, pronto per essere servito in tutte le tavole sarde.

Perché l’umiltà, la totale assenza di sete di potere o di visibilità e il senso del dovere?

In questi ultimi due anni mi sono preso la briga di osservare l’indipendentismo nella quasi totalità e dalla mia analisi sono emerse queste lacune, come appunto la quasi totale assenza di umiltà (perché tutti, anziché fare un passo indietro ed ascoltare chi ne sa più di loro, vogliono per forza imporre la loro idea, “a sa sadra”), tutti, nei modi spesso sbagliati e con prepotenza hanno avuto bisogno del loro spazietto di popolarità venendo così meno al senso del dovere, che io intendo appunto come lavorare a senso unico verso l’autodeterminazione. Certo, ci sono casi e casi ed infatti prendo a campione la quasi totalità. Ecco, per conto mio, cosa che dico sempre a chi mi conosce, sarei stato felicissimo di ascoltare chi ne sa più di me e portare in giro il verbo, il nuovo progetto, proposte concrete per il pastore o l’agricoltore che reclamano, per la pensionata che non arriva a fine mese, per l’imprenditore che cerca nuove idee. Io l’avrei fatto, e l’avrei fatto senza pretendere posti di potere o visibilità. Senso del dovere, appunto. D’altronde, a parte il mio nome in questo blog, ho mai reclamato la paternità di certe idee che mi sono balzate alla mente? Mai. Le ho sempre date in pasto a tutti, senza mai pentirmi.

Sull’informazione e sugli argomenti trattati ci sarebbe molto da dire, ma mi limito a ricordare a me stesso, a chi parla, a chi scrive, a chi diffonde l’indipendentismo ad informarsi a fondo su ciò che stanno scrivendo su Facebook o, ancora peggio, sui comunicati ufficiali. Non per altro, perché diffondere notizie non certe, creare alle volte false aspettative o alimentare la protesta è, la maggior parte delle volte, dannoso. Sia per  i sardi che per un’area indipendentista tutta che sta cercando pian piano di acquisire credibilità. Per spiegarmi meglio: il sardo già è scettico di suo, figuriamoci se ancora una volta gli si creano false aspettative su una data cosa che poi si rivelano essere aria fritta. Secondo voi quello che poteva essere un potenziale elettore indipendentista di cosa vi accusa? Di essere venditori di fumo. E di venditori di fumo qui ne abbiamo avuti sin troppi, soprattutto nell’era autonomista!

E qui riprendo gli ingredienti “maturità politica” e “comunicazione efficace, sia interna ma soprattutto esterna”. Come in una data corrente politica della stessa parte non volete sentire uno che dice A e l’altro che dice Z, come pensiate che la prenda questa cosa un sardo da parte di una corrente in minoranza come la nostra? Devo riprendere il luogo comune di “pocos, locos y mal unidos?” Non credo che serva, penso che abbiate già capito. Certo, come dicevo all’inizio ognuno deve mantenere la propria identità, ma una linea di comunicazione comune non sarebbe male. Scrissi su Facebook poco tempo fa che per ognuna di quelle persone che si soffermano a parlare con chi esprime dubbi sull’indipendentismo, ce ne sono almeno 20 che liquidano quelle persone con slogan tipo “Indipendentzia”, o ancora peggio con frasi tipo “Tocca tocca, bai ca tui sesi italianu, continua a votai is partidusu italianusu” (Ascolta, vai che tu sei italiano, continua a votare i partiti italiani). Avendo un po’ di nozioni di base di comunicazione, posso dirvi con certezza che una delle filosofie di comunicazione più efficaci per far comprendere il vostro punto di vista è quella del “WIN-WIN”, “vinco io-vinci tu”. Consiste nel portare l’altra persona a guardare dal vostro punto di vista ed a portare voi a guardare dal punto di vista dell’interlocutore, cercando così di trovare un punto d’incontro. Io lo terrei a mente, come appunto lo tengo sempre a mente.

Ma la vera novità consiste nella volontà di creare una “rete” indipendentista attiva su tutto il territorio Natzionale. Cosa significa creare una “rete” indipendentista?
E’ il fulcro di tutto questo post. Significa prendere i punti di forza di ogni singolo movimento o partito, di ogni singola iniziativa di ogni singolo componente di un movimento o di un partito e farla propria. Perché questo è uno dei problemi dell’indipendentismo, la poca condivisione delle idee altrui, pur ritenendole buone. Non so da cosa dipenda questo, se dal pregiudizio, se dall’invidia o da altri fattori. E’ comunque tendenzialmente così che si fa. Questo vorrei veramente che non accadesse più, ed anche qui si tratta di  maturità politica. Posso dire di essere un indipendentista libero, come tanti ce ne sono, che non si riconoscono in nessun movimento o partito specifico, perciò posso condividere ed agevolare le iniziative di questo o di quello. Si può dire la stessa cosa di tutti gli indipendentisti? Credo proprio di no. E qui tornano in ballo umiltà, assenza di sete di potere o di visibilità e senso del dovere. Dall’altra parte, visto che ci sono questi indipendentisti che non si riconoscono in nessuna sigla, chiederei a tutti i movimenti o partiti di accettare le idee di queste persone, elaborarle e poi vedere se possono svilupparsi o evolversi, senza escluderle a priori.

Questo intendo per fare “rete”. Una vera inclusività di tutte le persone che lavorano per l’autodeterminazione gioverebbe a tutto l’indipendentismo, a parer mio, e sarebbe appunto un’apertura di una nuova fase di quest'ultimo, forse di quella definitiva. Significherebbe anche riportare finalmente la politica in mezzo al popolo, per il popolo, eliminando in parte quella distanza dalle esigenze quotidiane o di quelle a medio-lungo termine che oggi caratterizzano quella che noi chiamiamo “casta politica”.

Per il bene dell’indipendentismo.