sabato 11 febbraio 2012

"La Sardegna deve tornare a sorridere". Tranquillo Ugo, lo stai facendo bene!

“La Sardegna deve tornare a sorridere”, diceva lo slogan della campagna elettorale di un candidato alla guida della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci. Per chi non lo sapesse, Ugo Cappellacci è attualmente il Presidente della Regione Sardegna. Di che partito non si sa, perché ha restituito la tessera del PDL. Attualmente quindi abbiamo un Presidente della Regione senza partito.

“La Sardegna deve tornare a sorridere”: mai miglior slogan si prestò all’interpretazione. Perché dietro questo slogan campeggiava il simbolo del PDL con sotto la scritta “BERLUSCONI PRESIDENTE”. Quindi vedendoli sul palco tutti e due, Ugo e Silvio, quale migliore slogan poteva esserci, se non “La Sardegna deve tornare a sorridere”?

Ed in effetti ci hanno fatto sorridere. Ci ha fatto sorridere la telefonata del frottolaio magico all’amico Putin durante la campagna elettorale, telefonata che doveva risolvere la vicenda del polo industriale di Portovesme. In quel momento sapeva già che ALCOA in Sardegna era agonizzante e che presto sarebbe morta, senza telefonate di sorta che potessero risolvere qualcosa.

 Abbiamo sorriso in tanti e  tanti hanno spalancato la bocca increduli. Molti invece, spinti dalla disperazione, hanno baciato la mano e hanno continuato a credere alle frottole ad effetto del nano di Arcore, che posizionando il figlioccio alla guida della RAS avrebbe risolto tutto. Magari questo nuovo Napoleone non avrebbe risolto tutto, ma almeno Bonaparte.

Ci ha fatto sorridere il Cappellazzi Ragionier Ugo quando si sentì tradito dal “Governo amico” per il furto della Tirrenia perpetrato dal suo stesso padrino, quello di cui in campagna elettorale portava il nome sul simbolo e sulla bocca, quello di cui è stato commercialista e che avrà aiutato a fare dei giochetti di bilancio, anche se non possiamo esserne sicuri, ha strappato la tessera del suo partito: il coro unanime dei vertici pidiellini fu “Esticazzi?”. Ancora a credere che ci siano governi centrali amici o nemici, questi qui. “Governo amico”, come era amico il Governo Prodi che avrebbe dovuto renderci i soldi della “vertenza entrate” (barattati senza autorizzazione e senza diritto dal fu Governatore Renatino Soru).

 Ci fa sorridere quando parla di “riforma dell’articolo 9 dello Statuto”, quando se c’è una cosa del nostro Statuto che non deve essere toccata, poiché è uno dei pilastri portanti della nostra sovranità economica, è proprio l’art. 9. Pensi a farlo rispettare così com’è, piuttosto.

L’ultimo “sorriso” è di questi giorni: ''iniziamo non soltanto a pensare come popolo ma ad essere popolo. Iniziamo non soltanto a pensare da nazione ma ad essere nazione. Iniziamo non soltanto a parlare di unità ma ad essere uniti''. Frase ad effetto da vero sardical-chic. Il Presidente Governatore in the station for the nation really sensation che parla di “Nazione Sarda”, di “Popolo Sardo”. Bene, bravo, bis urlerebbero certi indipendentisti che, non avendo le competenze adatte per far politica, dominati dall’insicurezza del proprio essere, si appigliano al Soru o Cappellacci di turno affinché accolga le proprie istanze.

Io no.

Io dico ancora, come sostenni in un altro mio post, che questa classe politica si accorge solo ora che la Sardegna è in fiamme del bisogno di sovranità che ha questa terra, del bisogno che ha questa terra dei 10 miliardi o giù di lì della “vertenza entrate”, del bisogno che ha di una classe politica seria ed autorevole, del bisogno che ha questa terra di uscire fuori dallo schema clientelare del bipolarismo all’italiana. E questo dovrebbero sostenerlo sia gli indipendentisti che quelli che di indipendenza non vorrebbero nemmeno sentir parlare. Non parliamo di indipendenza allora, parliamo di termini meno forti: sovranità, autodeterminazione, responsabilità.

Anche quelli che indipendentisti non sono devono rendersi conto, magari anche egoisticamente, che abitano in Sardegna prima di tutto. Che questa terra ha bisogno della propria sovranità per far sì che episodi come la “vertenza entrate” non si ripetano. Perché se noi continuassimo a far incassare i nostri tributi all’Agenzia delle Entrate italiana, nella situazione in cui vaga adesso lo Stato italiano, continuerebbero  a non riconoscerceli  e quindi a non ridistribuirceli come da Articolo 8 dello Statuto. Perché se viene meno questo diritto  viene meno il diritto all’autodeterminazione. E questo riguarda anche i non indipendentisti, quelli che chiedono alla Sardegna di essere maggiormente artefice del proprio destino, di “gravare” meno sul loro Stato (come fossimo noi a “gravare” sullo Stato e non il contrario). Di prendersi le proprie responsabilità. Ben vengano le responsabilità, ben venga l’autoderminazione  e sia fatta la nostra sovranità.

Per tornare al Governatore che non governa,  Cappellacci credo abbia paura di Maninchedda e del Partito Sardo d’Azione, che in questi tre anni di Governo non ha mai fatto mancare i propri malumori, che adesso si sollevano sempre più (senza però staccargli la spina, mah!). E poco importa se recita la sua tragedia pseudo-indipendentista  proprio al ritorno dal vertice col Governo italiano in cui “ha aperto tavoli di trattativa con lo Stato”, se lo fa di ritorno dall’ennesimo trasporto a Roma dell’ennesima croce sarda. E’ solo un altro paradosso del Presidente Cappellacci.

Ma lo fa per rimanere in linea con la sua campagna elettorale e tornare a farci sorridere.

Mestamente, di gusto.


De Deximeputzu, Regioni de Casteddu, Sardigna

Restiamo sardi


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